Esplode la bomba per le banche a seguito della promulgazione della sentenza Lexitor sul credito al consumo e le cessioni del quinto.
Con la cosiddetta bomba Lexitor, che investe il credito al consumo e le cessioni del quinto, le banche rischiano fino a 5 miliardi. I giudici della Corte Costituzionale si sono orientati nel riconoscere legittimamente le ragioni del consumatore, il quale avrà sempre diritto alla riduzione del costo totale del proprio credito, qualora restituisca in anticipo il finanziamento.
Questa la dichiarazione definitiva dei giudici della Corte Costituzionale, nell’ambito di una sentenza che rischia di pesare sul groppone delle banche la cifra preoccupante di 5 miliardi di euro. “In caso di restituzione anticipata del finanziamento, il diritto del consumatore alla riduzione dei costi sostenuti in relazione al contratto di credito non può essere limitato a talune tipologie di costi, in funzione di quando sia stato concluso il contratto” si legge nella nota della sentenza stilata dalla giudice Emanuela Navarretta.
La Consulta è dalla parte del consumatore
La questione delineata come sentenza Lexitor, prende il nome dalla società polacca che garantisce servizi ai consumatori rilevando i loro diritti di credito, e che già nel 2019 si era appellata ai giudici europei per ottenere chiarezza definitiva circa la portata della direttiva europea che nel 2010 ha sancito per la prima volta il principio secondo cui in caso di rimborso anticipato del credito da parte del consumatore, questo debba godere del diritto ad una riduzione del costo totale del credito, uguale all’importo degli interessi e dei costi dovuti in relazione alla durata residua del contratto.
La pronuncia della Corte di Giustizia, arrivata a settembre 2019, aveva già ampliato i rimborsi su tutti i costi, come ad esempio quelli relativi alle spese di istruttoria o alle provvigioni, creando un certo disordine in Europa (si parla dei cosiddetti costi upfront). I motivi del disordine europeo? Il disorientamento pare sia nato anche (e soprattutto) intorno alla questione della retroattività di quella decisione e proprio su questo punto la Consulta italiana ha riconosciuto le ragioni del consumatore su tutta la linea.
Ma il governo Draghi, tramite il decreto Sostegni bis, ha attivato la sentenza Lexitor a far data dal 23 luglio 2021, escludendone però il principio di retroattività non solo riguardo il 2010, ma anche dal 2019, ossia quando era già stata promulgata la sentenza da parte dei giudici di Lussemburgo.
Il rimborso di tutti i costi, anche quelli precedenti al 2021
Adesso però la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del decreto Sostegni bis, nello specifico in relazione alla clausola in cui questo limitava ad alcune tipologie di costi il diritto alla riduzione spettante al consumatore, ammonendo ora che si è trattato di “una violazione dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”. In base alla decisione scaturita dalla sentenza della Corte Costituzionale, spetterà quindi ora ai consumatori il diritto alla riduzione proporzionale di tutti i costi sostenuti in relazione al contratto di credito, anche nel caso in cui i soggetti abbiano estinto i loro contratti prima dell’entrata in vigore della legge di luglio 2021 (decreto Sostegni bis).
L’incubo dei 5 miliardi per le banche
La portata di una tale sentenza sul settore rischia di essere enorme, come avevano già del resto preventivato gli stessi istituti di credito, calcolando un danno complessivo – tra cessione del quinto e credito al consumo – in grado di attestarsi all’incirca sui 5 miliardi di euro. Ad ogni modo, l’Italia non ha rappresentato l’unico Paese ad aver ignorato il principio di retroattività. Anche l’Austria ha recepito attivamente la sentenza Lexitor a partire da gennaio 2021, escludendo di fatto l’applicazione prima di quella data. Adesso però la sentenza della Consulta non sembra lasciare dubbi ad equivoco alcuno: i consumatori hanno diritto ai rimborsi.
E’ costituzionalmente illegittimo infatti, per violazione dell’ art. 117, primo comma, Cost., l’art. 11-octies, comma 2, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni nella legge 23 luglio 2021, n. 106, limitatamente alle parole “e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia”, rinvio attraverso cui è preclusa l’applicazione retroattiva della giurisprudenza comunitaria la quale riconosce al consumatore, in caso di rimborso anticipato dei contratti bancari, il diritto alla riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi e di tutti i costi compresi in quello totale del credito, ad esclusione delle imposte.
L’excursus normativo che sta all’origine della sentenza Lexitor si configura come piuttosto complesso, e dall’intricato rapporto in seno alla relazione tra legislatore italiano e giustizia comunitaria.
Legislatore italiano vs giustizia comunitaria
Nell’ambito di questo contesto, vanno considerate le disposizioni dall’art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, che aveva sancito l’attuazione all’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 23 aprile 2008 n. 2008/48/CE (disciplinante i contratti di credito ai consumatori), la quale era stata interpretata in un’ottica secondo cui il consumatore potesse ripetere esclusivamente i costi dipendenti dalla durata del contratto (i cosiddetti costi recurring) non maturati al momento del rimborso del capitale e che tale ricostruzione era stata condivisa dalla normativa secondaria della Banca d’Italia.
Però la Corte di Giustizia, tramite la sentenza Lexitor, aveva successivamente interpretato il citato art. 16 in una prospettiva “più favorevole al consumatore”, considerando la durata residua del contratto, ai fini del calcolo della misura della riduzione, che deve coinvolgere “il costo totale del credito” e non solo i costi recurring.

Come già accennato sopra, il legislatore, pur ossequiando la sentenza della Corte di Giustizia, attraverso un emendamento incluso nella legge di conversione del decreto legge Sostegni-bis, ha mostrato di recepire il principio espresso dalla sentenza citata, ma ne ha limitato l’efficacia nel tempo ai soli contratti successivi all’entrata in vigore della legge (25 luglio 2021), mantenendo quindi fermo lo status quo ante – e quindi la ripetibilità dei soli costi recurring non maturati – per i contratti anteriori al 25 luglio 2021. Una tale mossa era stata dettata dal richiamo alle norme secondarie della Banca d’Italia, che avallavano l’interpretazione in base alla quale i costi soggetti a riduzione sarebbero i costi recurring e valorizzano, correlativamente, i doveri di trasparenza.
Il giudizio a quo
Nell’ambito del giudizio a quo (che si realizza nel momento in cui l’autorità giudiziaria introduce un giudizio di legittimità costituzionale delle leggi in via incidentale, sospendendo il processo davanti a sé pendente), il ricorrente aveva contratto un prestito personale contro cessione del quinto dello stipendio, per poi procedere al rimborso anticipato e integrale del debito residuo, però, nel conteggio delle restituzioni relative all’esito dell’estinzione anticipata, l’intermediario non aveva calcolato la riduzione proporzionale degli oneri sostenuti al momento della conclusione del contratto di finanziamento.
Di conseguenza, il consumatore aveva predisposto un reclamo, contestando il fatto che il calcolo della riduzione non stesse rispettando la sentenza Lexitor. In coda al riscontro negativo del reclamo, il consumatore aveva presentato ricorso al Collegio di Milano dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) che, con decisione del 5 giugno 2020, lo aveva accolto, attenendosi ai criteri dettati dalla sentenza Lexitor.
A seguito del rifiuto, lato intermediario, di dare volontaria esecuzione alla decisione dell’ABF, il consumatore ha proposto ricorso ex art. 702-bis c.p.c. al remittente Tribunale di Torino, chiedendo la liquidazione delle maggiori somme dovute in forza della citata sentenza della Corte di Giustizia.
L’interpretazione dell’art. 125-sexies
La sentenza ricorda come l’interpretazione dell’art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, accolta dalla giurisprudenza di merito e dall’ABF, ha visto riferire il diritto alla riduzione dei costi, in conseguenza al rimborso anticipato, esclusivamente alle voci soggette a maturazione nel tempo (i costi recurring), con esclusione di quelle relative alle attività destinate alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (i costi up-front).
Con sentenza dettagliata sopra, la Corte di giustizia ha fornito dell’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE una più ampia interpretazione, preoccupandosi di una maggiore tutela del consumatore, al cospetto di contrappesi ritenuti adeguati a favore dei creditori.
L’elemento nevralgico della sentenza è il principio di evoluzione temporale. Infatti “le sentenze adottate in via pregiudiziale compongono il quadro dei parametri sovranazionali che, attraverso il filtro degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., consentono a questa Corte di esercitare il vaglio di costituzionalità, è la stessa Corte di giustizia, nel suo ruolo di interprete qualificato del diritto dell’Unione europea, a chiarire che
…la sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bensì puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata…. secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la modulazione degli effetti temporali di una sentenza che decide su un rinvio pregiudiziale può essere disposta esclusivamente dalla medesima Corte e solo nell’ambito della stessa pronuncia.”
Ne consegue che “poiché la Corte di giustizia ritiene di non poter limitare a posteriori l’efficacia temporale di una propria pregressa interpretazione, sempre secondo la citata Corte, non è consentita una modulazione temporale dei suoi effetti da parte dei singoli Stati membri, tanto più in presenza di una direttiva che dà luogo, salvo espresse deroghe, a una armonizzazione piena.”
Le mosse del legislatore
Ma il legislatore, impugnando la norma, ha appunto attuato una tale modulazione temporale, limitando l’applicazione della nuova disposizione ai contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge n. 106 del 2021, mentre per quelli conclusi precedentemente ha stabilito che “continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”.
Di conseguenza, la Corte Costituzionale ha osservato che “risulta univoco l’intento del legislatore di fissare per il passato un contenuto della norma circoscritto alla interpretazione antecedente alla sentenza Lexitor e che si discosta dai contenuti della citata pronuncia.”
Cosa ne consegue? Che la cristallizzazione sul contenuto normativo in seno alla prima formulazione dell’art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, di fatto difforme rispetto al contenuto della sentenza Lexitor, ne preclude un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea, espletando un inadempimento agli obblighi “derivanti dall’ordinamento comunitario” (art. 117, primo comma, Cost.).
Dal momento che è proprio mediante il completamento prescrittivo della norma primaria, ossia il rinvio alle norme secondarie della Banca d’Italia, contenuto nella norma impugnata, che si realizza la violazione del citato parametro costituzionale, risulta sufficiente espungere questo, per rimuovere l’impedimento alla retroattività della norme stessa, azione che è stata finalmente ben delineata dalla recente sentenza Lexitor.
Nella sentenza Lexitor rientrano anche i mutui?
La risposta a tale quesito resta ancora oscura; sotto i 75mila euro, i prestiti sono considerati come credito al consumo, ma superata questa soglia non più. A tal proposito, è in corso una disputa che vedrà una chiara risoluzione solo dopo una sentenza della Cassazione. Da questo punto di vista quindi, non si può far altro che attendere gli esiti relativi.
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